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L’Europa
muore Torti e ragioni di Renzi A
dir la verità non abbiamo mai pensato che la costruzione dell’unione europea,
tracciata sulle regole di Maastricht, fosse altro che una creazione della
guerra fredda, da parte di Paesi che preoccupati di doversi confrontare
ancora a lungo con l’est socialista, intendevano migliorare la loro
competitività. Né Khol, né Mitterand
e tanto meno i loro ministri delle finanze, pensavano ad un’esplosione della
cortina di ferro tanto repentina come quella che avvenne nel 1989. Così come
nessun economista ebbe il dubbio che una volta crollati i regimi socialisti,
si sarebbe mai presentato un qualche problema orizzonte. Il liberalismo
avrebbe trionfato ovunque. Bisognava solo preoccuparsi di passare
all’incasso. Nei campus americani si credeva persino che l’umanità fosse
giunta alla fine della storia. Per cui che problema ci poteva essere ad
estendere l’Europa tedesca fino all’Azerbaigian? Ed è un vero peccato non
aver assorbito nell’euro anche la moneta azera, perché almeno potremmo
contare sul petrolio di Baku. Invece abbiamo fatto entrare la Polonia che ci
guarda dall’alto della sua fede cattolica. E’ ovvio che il presidente del Consiglio,
Matteo Renzi, abbia ragione nel suo articolo su
“Repubblica”, quando lamenta la sola politica di austerity dell’Europa.
Andiamo avanti cosi è si muore. E si muore ancora di più di fronte allo
scenario dell’immigrazione e del terrorismo affrontati con muri e barriere.
L’Europa sta peggio di otto anni fa, dice Renzi e
purtroppo l’Italia, sta persino peggio di quando due anni fa formò questo
governo. Ad esempio lo studio “Does
Italy needed further labour flexibility? The consequences of the Jobs Act”, dei ricercatori italiani Marta Fana,
Dario Guarascio, Valeria Cirillo, non risparmia
nemmeno il capolavoro di Renzi. Secondo il
documento, i nuovi occupati a tempo indeterminato tra gennaio e dicembre 2015
sono 135.000 e non 214 mila di cui 32.000 sono da attribuirsi ai primi due
mesi del 2015 quando la sola decontribuzione era in vigore. Per cui il ruolo
delle trasformazioni da contratti a tempo determinato, a tempo indeterminato
non può essere identificato come il sintomo di un processo di consolidamento
e stabilizzazione dell’occupazione. Difficile dunque sostenere che ci
troviamo difronte ad una ripresa dell’economia
caratterizzata da espansione dell’occupazione stabile e soprattutto, le
trasformazioni avvenute potrebbero non resistere oltre gli sgravi triennali
previsti, soprattutto alla luce di una crescita che non si discosta dallo
zero qualcosa. Figurarsi se non capiamo che il premier tema un rigore
eccessivo, dovendo fronteggiare un’economia tanto asfittica. Del resto i
repubblicani ritenevano utile l’adesione monetaria non perché ci illudevamo
di vedere nascere l’Europa di Ventotene, ma solo
perché contavamo di riuscire finalmente a contenere il debito e la spesa
pubblica, senza la quale non c’è modo di una ripresa del Paese. Per cui se Renzi ha ragione a chiedere meno austerità all’Europa, ha
torto ad aver fatto tanto poco per rispettarne le regole sottoscritte. Roma, 11
febbraio 2016 |
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